12, 12
ancora un ultimo avvertimento, figlio mio
continuare a fare libri è una cosa che non finisce mai, e continuare a studiare affatica il corpo
Forse qui è all’opera una seconda mano, un secondo redattore, un secondo smussatore di spigoli.
C’è un richiamo davvero esplicito alla letteratura sapienziale normale, diciamo così, in quel figlio mio.
Espressione che Qohelet non aveva mai usato, e che suona quasi stonata in quel suo essere pedagogica.
E poi due richiami che spartiscono l’ultimo avvertimento (anche questo un tratto frequentissimo per esempio nel Libro dei Proverbi, nei proverbi che cominciano: una cosa ho notato, anzi due, tre cose ricordo, ma quattro, e così via)
Il primo un richiamo che sarebbe piaciuto molto a Borges, sul fatto che scrivere libri ha un tratto di infinito, ma quasi di inanità in questo passaggio, però.
Il secondo sul fatto che il corpo ha i suoi bisogni e le sue debolezze, e fatiche, cui anche lo studio lo sottopone.
Insomma, una specie di non esagerare reso in termini più colti.
Io dico continuare a fare libri, continuare a studiare.
L’ebraico: e fare libri molto non c’è termine, e poi studio molto affatica la carne.
La Bible de Jérusalem: faire des livres est un travail sans fin
The New Revised Standard Version: of making many books there is no end
CEI: non si finisce mai di scrivere libri
Parisi: a fare innumerevoli libri non c’è fine
Ravasi: si fanno libri e libri senza fine


Io non ci capisco niente però in effetti, seguendoti, questo stona molto, sembra davvero una cosa scritta da un altro passato di lì